Restaurato nel 1980, il dipinto raffigura, in mezzo ad una turba di gente e di armati, Gesù caduto sotto la croce, dinnanzi alla quale si è fermato, sul suo cavallo bianco, un ufficiale romano. Dinanzi al Cireneo, a sinistra, è il gruppo delle donne: col braccio levato in alto Maria di Cleopa, la Vergine sorretta dalla Maddalena, piegata sulle ginocchia, e la Veronica, che mostra il bianco lino con l’immagine del Cristo.
Sul dipinto non si nota soscrizione, probabilmente scomparsa sotto le rabberciature e ridipinture che la tela, nella fascia inferiore e fin anche in quella superiore, ha anticamente subito. Non dovrebbe comunque sollevare dubbi un giudizio di assegnazione al Tomasi, in piena concordanza con la tradizione locale, tanto più se si considera che gran parte del dipinto, cioè la destra e principale, a brevissima distanza di tempo, è stata replicata dal Pittore in un tondino della Madonna del Rosario di S. Marco d’Alunzio. Conforta l’assegnazione anche un competente giudizio: cauto in un primo tempo, fornisce un’indicazione d’ambiente senza proporre un nome o una data, ma sembra formalmente escludere il Tomasi; successivamente meno generico, indirizza ad una precisa attribuzione al nostro pittore.
D’altra parte, a suffragare l’assegnazione del dipinto al Tomasi, oltre a concrete affinità stilistiche con le altre opere, concorre il raffronto di taluni particolari con quelli di alcune, prima fra tutte la Lapidazione di S. Stefano di Bronte, con la quale, vista, per così dire, attraverso la copia del 1876, l’opera in esame presenta non poche analogie, tanto che di essa si può considerare parziale replica; e più compiuta replica può certamente il dipinto considerarsi di quell’altro Spasimo copia dell’omonimo di Raffaello, al quale la stessa Lapidazione si richiamava: per utili confronti, basti solo notare le diverse figure che, nell’altro, si accalcano attorno al Cristo.
Per le figure del Cireneo, del soldato e del carnefice, utili possibilità di confronto offrono anche altri dipinti del periodo 1648-1654, mentre all’immagine del Cristo sul velo della Veronica ed alle figure femminili si richiamano anche dipinti posteriori.
Sulla base di tali confronti, e pur non escludendo che possa essere di qualche anno più tarda, riteniamo plausibile la datazione dell’opera al periodo 1653-54, che è posteriore alla Lapidazione e quasi contemporaneo alla citata Madonna del Rosario.
Il dipinto, molto curato nei particolari, si può ritenere sintesi e risultato di una personale interpretazione del fatto evangelico e di un libero rifacimento del dipinto dell’Urbinate e della copia.
Notevoli i toni drammatici a cui perviene, abilmente resi, entro l’atmosfera livida dello sfondo, dai volti sbiancati del Cristo, della Vergine e della Veronica, ed ancora di quello impresso sul bianco lino; rugginose e qua e là rossastre, le forti tinte accentuano il tono drammatico.
Non pensiamo di esprimere avventato giudizio, catalogando l’opera tra le più pregevoli del Tomasi.